Intervista al duo “Victoria on the grass”, scopriamo chi sono

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intervista victoria on the grass

Benedetta Oliovecchio e Caterina Fuso del duo umbro “Victoria on the grass“, ci raccontano chi sono in un’ intervista per Musicisti Emergenti.

Parlateci un po’ di come siete nate…
Benedetta: Abbiamo iniziato a suonare insieme nel 2013 per la preparazione di un
concerto estivo insieme ad altri musicisti. Da lì abbiamo iniziato a collaborare.
Caterina, infatti, è poi entrata a far parte del progetto acustico a cui stavo
lavorando assieme ad un chitarrista.

Vedendo di avere gusti musicali molto simili, abbiamo deciso di continuare noi due a fare cover (voce, pianoforte, percussioni). Dopo un po’ di tempo, iniziai a proporre del materiale inedito a Caterina, che si stava avviando verso il percorso di registrazione e produzione musicale, e cominciammo a lavorare su idee nostre fino a formare nel 2018
Victoria On The Grass.

A cosa dobbiamo il nome del gruppo?
B: Il nome del gruppo è nato durante un viaggio a Londra, città che già
conoscevamo bene. Io avevo da tempo in mente una figura femminile, una
donna che rappresentasse il rapporto tra Uomo e Natura, una figura in completa
armonia con l’Universo e la Terra. Era ciò che volevo inserire nella nostra musica,
come identità, così tra bellissimi parchi e paesaggi inglesi è nato il nome Victoria
On The Grass.

Come inizia il processo creativo? E come sviluppate i vostri brani?
Caterina: Nella maggior parte dei casi le nostre canzoni nascono prima sotto forma di
testo scritto da Benedetta. Questi possono essere versi scaturiti da input
quotidiani, come da esperienze o stati d’animo di un particolare momento. Poi
iniziamo a costruire insieme una bozza musicale con la stesura di un giro di
accordi o di alcune melodie, e una ritmica essenziale.

Questa idea embrionale viene poi sviluppata nel nostro studio/sala prove, improvvisando e suonando insieme. Lì tutto può essere rimesso in discussione per cercare di arrivare
all’identità finale del brano: dalla ricerca e scelta dei suoni, alla revisione del testo per dare una struttura più chiara al pezzo.

La più brutta esperienza che avete fatto sul palco?
C: Personalmente, con la mia precedente band Vivienne the Witch, ho avuto
parecchie esperienze di palco negli anni passati suonando. Nel complesso, sono
sempre state tutte esperienze positive che mi hanno arricchito come musicista e come persona.

Direi che non ci sono stati degli episodi spiacevoli, più che altro nella maggior parte delle situazioni c’era la sensazione di essere percepite diversamente rispetto ai nostri colleghi uomini e di dover sempre dimostrare di saper suonare per essere prese seriamente come musiciste, mentre per un uomo questo è dato per scontato anche senza prima averne avuto la conferma.

Cosa vi ha dato Dublino, a livello umano e musicale?
B: Dublino è stata una città piacevole in cui vivere, ci rimarranno sempre
impressi i parchi della città, i paesaggi naturali tipici irlandesi e i luoghi
frequentati da alcuni dei nostri musicisti preferiti. A livello umano e musicale ci
ha dato la possibilità di partecipare a tanti festival ed eventi internazionali che
rimarranno sempre tra i nostri ricordi preferiti.

Nonostante questo, non ci ha stimolato del tutto e abbiamo sempre visto questa esperienza come una situazione temporanea, inconsciamente non c’era il desiderio di rimanere.
Questo era alimentato dal fatto che in Italia avevamo già una sala prove che
volevamo tramutare presto in studio di registrazione e produzione.

Un gruppo a cui vi sentite molto vicine?
C: Ultimamente ci sentiamo molto vicine a PJ Harvey, ma sono molti gli artisti a
cui ci ispiriamo e dai quali cerchiamo di imparare, come ad esempio Mazzy Star,
Cocteau Twins e Wye Oak.

Come definite il vostro genere musicale?
C: Se dovessimo definire il nostro genere in breve, diremmo alternative con
sonorità tipiche del rock e influenze elettroniche. Diciamo che siamo ancora in
fase di esplorazione e sperimentazione. Ci piacerebbe integrare sempre di più la
parte acustica, nuda e cruda degli strumenti con il suono elettronico di synth
(analogici o digitali) e altri virtual instruments.

Sentirsi connessi con il mondo che ci circonda è sicuramente frutto di
un percorso evolutivo, date le infrastrutture culturali del mondo
attuale. Volete raccontarci questo percorso?
B: Esatto, essere in armonia con il mondo esterno è sicuramente il risultato di un
percorso che una persona deve fare con se stessa prima di tutto.

Partire innanzitutto da una consapevolezza interna, lo stato fisico del proprio corpo,
saper osservarsi nei comportamenti, riconoscere i propri punti forti e deboli, come anche le proprie sensazioni e saper dargli un nome: individuare rabbia, gioia, dolore, delusione e lavorare su di esse non è sempre semplice e scontato come può sembrare.

Solo una volta acquisita questa profonda consapevolezza personale e solo dopo essersi accettati con l’intento di voler diventare la versione migliore di se stessi, è possibile iniziare a sentire una connessione con qualcosa di più grande, un’unione tra se stessi e l’esterno, riconoscere che siamo singoli individui ma fasci di energie connesse tra di loro. È un processo di continua evoluzione e cambiamento ed una condizione bisognosa di costanza.
Come tutte le cose questo percorso necessita di pazienza, dedizione, cura di se
stessi e dell’ambiente in cui si vive. Ciò significa che se necessario è doveroso
liberarsi di quelle persone che limitano questo processo, coloro che non
comprendono il percorso e la nostra sensibilità (è anche questione di sensibilità).

È fondamentale riconoscere, se ci sono, quelle persone che limitano il nostro
potenziale e indipendentemente da chi esse siano saper dire “Arrivederci, io ho
molto più da offrire”.

Come avete passato la quarantena?
C: Quando è avvenuto il lockdown abitavamo ancora a Dublino e abbiamo deciso
di passare la quarantena a distanza (purtroppo, ma per una buona causa).
Abbiamo passato il tempo suonando, scrivendo, studiando, facendo fotografie,
insomma in modo creativo.

Visto il clima generale di ansia e paura, è forse stato il modo migliore in cui impiegare il nostro tempo. Ammettiamo che non è stato semplice, non ci voleva molto a sentirsi disorientati e turbati, ma la musica e i progetti per il futuro ci hanno aiutato a guardare avanti.

Come vedete il panorama musicale nel futuro post Covid?
C: La musica continuerà ad esserci e sarà anche tanta, il lockdown ne è stata la
dimostrazione. I musicisti, gli artisti e tutti i tecnici che lavorano in questo
settore sono persone resilienti e sanno sempre come reagire e reinventarsi.

C’è da dire però che la musica per essere considerata tale ha anche bisogno
della sua componente live; i dischi, i vinili, i videoclip, le dirette e lo streaming
non riusciranno mai a colmare del tutto le emozioni provate ad un concerto.

Come sappiamo il settore degli eventi dal vivo è stato il più danneggiato da
questa epidemia, e ora come ora ammettiamo che non è facile immaginarsi
come sarà nel futuro post Covid. Forse con il dovuto supporto economico da
parte delle istituzioni e con il buon senso di ognuno sarà possibile ripartire in
sicurezza, e riusciremo ad avere indietro i nostri amati concerti.

Progetti per il futuro?
B: Durante questi due anni di esplorazione e consolidazione del progetto
abbiamo fatto un brainstorming di idee: oltre al lavoro sui nostri brani e alla loro
pubblicazione, abbiamo in cantiere anche un side project chiamato
Poetry&Sound. Questo progetto consiste nella reinterpretazione di poesie di
autori importanti su musica a impronta ambient/elettronica/sperimentale.

“Victoria” è stata definita una canzone legata al femminismo. Il
femminismo è un concetto molto vasto e spesso ognuno di noi tende a
sottolinearne alcuni aspetti. Cos’è per voi il “femminismo” e come siete
legate a questo concetto?
C: Sì “Victoria” in un certo senso è legata al concetto di femminismo. Ci piace
definirla come un inno di incoraggiamento nel credere di più in noi stessi, nelle
nostre qualità e nei nostri sogni. Una canzone che va cantata come fosse un
mantra che ci guida nelle azioni di ogni giorno e ci rende sempre più consapevoli
di noi stessi e della versione migliore che vogliamo diventare.

È vero, è stata scritta da due ragazze, e ha come protagonista una ragazza come noi, questo non vuol dire che non può essere interpretata in maniera universale: chiunque
può essere Victoria, qualsiasi persona che vuole iniziare questo viaggio di esplorazione in se stessi e che vuol far valere i suoi sogni.

Domanda un po’ scomoda. Avete mai subito discriminazioni di genere
nel mondo della musica? Come vi siete comportate?
B: Fortunatamente noi come gruppo non ancora, essendo uscite pubblicamente
da poco. Di certo la discriminazione di genere nel mondo della musica è un
problema quotidiano.

Sicuramente essere un duo femminile dove la parte di produzione, mixing e mastering è gestita da una donna potrebbe far discutere qualche maschietto, ma non ci lasciamo fermare da questo, la cosa importante è continuare a lavorare e lasciar parlare la qualità dei nostri lavori.

La nostra piattaforma si chiama Musicisti Emergenti. Cosa
consigliereste ai musicisti emergenti?
B: Ai musicisti emergenti consigliamo di dare il massimo, di mettersi in gioco e di
tirare fuori ogni loro capacità, di non fermarsi di fronte alle difficoltà ma di trarne
insegnamenti. In poche parole di non usare scuse ma trovare soluzioni. Nel periodo storico che stiamo vivendo e con le tecnologie a portata di mano le strade sono davvero tante, bisogna solo farsi avanti e dare il meglio di se stessi, come creativi e come persone.

Se dopo l’intervista di “Victoria On the grass” volete saperne di più sul loro conto, leggete https://musicistiemergenti.it/2020/07/victoria-il-primo-singolo-della-band-victoria-on-the-grass/.

 

G.Lo Russo

L’articolo Intervista al duo “Victoria on the grass”, scopriamo chi sono proviene da Musicisti Emergenti.