I “Pliskin” sono un gruppo musicale nato in una notte d’estate del 2006 a Milano” quasi come se fosse un “Sogno di una notte di mezza estate”. Per me fu prima un sogno e poi un risveglio alla vita. I Pliskin sono arrivati come degli angeli custodi. Mi hanno letteralmente preso e riportato alla musica. Sono stati per lungo tempo più di una band. Un mondo in cui stare, pensare, condividere, vivere. A Roberto e Luca devo tanto. Di quel mondo ne facevano parte anche i quadri di Angelo Pacifico, i racconti e le foto di Leo, il Bar di Roby, Le sale prove condivise con tante band di Milano e i live.
Come andò all’inizio dei Pliskin?
Il primo anno abbiamo condiviso la sala prove, abbiamo suonato qualche cover, ma era solo un pretesto per passare delle serate insieme in sala prove. Nessuno di noi aveva preso in considerazione di fare un disco. Io spingevo fortemente per fare delle composizioni originali.
Come si trovava con gli altri componenti del gruppo?
Molto bene, io scrivevo molto, poi c’erano le idee musicali di Luca. Roberto, invece, era bravissimo ad interpretare una sua versione di linee di basso.
Come nasce il nome Pliskin?
Eravamo alla ricerca di un nome da almeno tre anni. Suonammo per un anno senza nome. Dopo il primo anno prendemmo in considerazione il nome Alistirio, poi Alistereo, e poi Alistrer divertendoci a modificare di volta in volta quell’idea di nome iniziale. Era diventata una cosa divertente su cui scherzavamo molto tanto che cambiavamo il nome della band quasi ad ogni prova inventandocene uno. Di fatto non avevamo nome. Suonavamo e basta.
Quando nacque il vostro nome?
Alla prima data ufficiale, al Bluse House. Qualche mese prima dell’uscita di “Quando Arriva La Sera”. Successe che Luca arrivò in studio dicendo che aveva visto un film di Carpenter, 1997: Fuga da New York, e che il protagonista si chiamava Jena/Snake Plissken interpretato da Kurt Russell. Io da tempo spingevo per nomi che prendessero dal cinema. Perché la storia dei Pliskin nella mia vita l’avevo un po’ vista come una scena da film dove uno arriva e ti stravolge tutto. Da quel racconto di Luca, proposi di cambiare il nome del protagonista in Pliskin, italianizzandolo quasi a ridefinirlo come un nuovo personaggio, che poi sarebbe stato il protagonista del concept dell’album.
Quale tematiche affrontavate nei vostri testi?
I testi parlavano di come si cambia dopo la fase del disincanto raggiungendo una nuova consapevolezza che ci porta da un totale nuovo disinteresse per le cose fino a ritrovare nuove vibrazioni e nuova forza per reinventarsi. Quella linea di confine descritta meravigliosamente da Conrad nel libro La linea d’ombra, quel non definito, personalissimo e al contempo universale, momento e percorso di presa d’atto della propria indipendenza e, insieme, del proprio essere soli di fronte al e nel mondo. Chiavi di questo improvviso, quasi subitaneo passaggio sono il superamento del senso di colpa e dell’apparentemente opposto sentimento di indegnità per il proprio essere: superamento che avviene assieme all’accettazione della responsabilità di essere se stessi come esseri umani.
Che tappe tocca il viaggio dei Pliskin?
Il viaggio di Pliskin avviene attraverso dieci città immaginarie. Come i protagonisti de Le Città invisibili di Cavino. Così Pliskin inizia a cantare “Nel Disincanto” percorrendo tutte le canzoni contenute nell’album alla ricerca di una via di fuga ma anche alla ricerca di se stesso e degli altri. Lo fa attraversando una città immaginaria che contiene tutte le città e i quartieri. Quindi Roma, Milano, Praga, Manfredonia, il Gargano, Pescara, rione Monticchio, e i Navigli (dondolano le luci fuori dai locali) diventano città e posti con un altro nome. L’album contenente 10 canzoni che raccontano la storia di 10 vite in 10 città e posti diversi. La copertina, è un particolare estrapolato dal quadro di Angelo Pacifico, intitolato: “Dove?”. Quel dipinto, come parte dell’album traggono ispirazione del libro “Le Città Invisibili” di Italo Calvino.
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