Biografia: Anna Katharine Green è stata una prolifica giallista americana a cui il mondo della letteratura, soprattutto nel panorama internazionale, pare non aver riconosciuto il posto dovutole nella storia del romanzo giallo. Il suo esordio nell’ambito della detective fiction è segnato da Il mistero delle due cugine, una delle poche opere a essere state tradotte in italiano, a cui seguiranno più di quaranta scritti, tra romanzi e racconti brevi. Le sue storie hanno una spiccata interattività, volta a trascinare il lettore nel gioco del delitto, e i suoi personaggi godono di uno scavo psicologico innovativo nella sua profondità. Acclamata in patria con l’appellativo di The Mother of Mistery e apprezzata da giallisti del calibro di Arthur Conan Doyle – che in una lettera a lei indirizzata auspicherà addirittura di poterla incontrare e di Agatha Christie che, con tutta probabilità, si ispirerà alla greeniana Miss Butterworth per costruire il personaggio di Miss Marple Anna Katharine Green è ancora semisconosciuta in Italia.
Lo Studio Circolare è un romanzo giallo di Anna Katharine Green. Il rinvenimento di un cadavere all’interno di una stanza circolare, illuminata da una enigmatica luce rossa, dà inizio a questo corposo romanzo. A osservare la scena, muto, il ritratto di una bellissima fanciulla. Sul pavimento giace morto il padrone di casa, con un coltello conficcato in corpo e una croce deposta sul petto. A seguire le indagini il veterano Ebenezer Gryce, affiancato dalla arguta Amelia Butterworth. Trovare la pista giusta non sarà facile, ma a poco a poco emergeranno legami di sangue insospettabili, amori impossibili, segreti incofessati e biechi tradimenti. Dall’autrice Anna Katharine Green, percorritrice della più famosa Agatha Christie, un giallo classico per gli amanti della detective story.
Buona lettura.
Capitolo I
La luce rossa
Gryce era giù di morale. Attraversava quel periodo della vita in cui il vessillo dell’entusiasmo ha bisogno di essere sospinto da una brezza costante e, dal momento che di recente non era accaduto niente di particolarmente eccitante, si sentiva vecchio e apatico. Stava persino accarezzando l’idea di andare in pensione e di ritirarsi in quella piccola fattoria che aveva comprato nel Westchester; tutto ciò non era da considerarsi affatto un buon segno, dal momento che era un uomo d’azione per cui l’esercizio delle proprie facoltà mentali era di per sé molto più importante di qualsiasi vantaggio pratico che potesse trarre da esse.
La fattoria avrebbe dovuto attendere ancora un poco. Proprio quando credeva di aver raggiunto il culmine della frustrazione, al distretto di polizia giunse una telefonata che restituì il vecchio al suo antico vigore e colorò quella bigia giornata invernale di un interesse che egli stesso credeva non avrebbe provato, né in quello né nei giorni a venire. La telefonata era stata effettuata dalla bottega di Carter, un negozio che Gryce conosceva molto bene: in essa si affermava che una signora avesse appena incaricato un ragazzino di recarsi al negozio per dire a tutti che un delitto insolito aveva avuto luogo nell’abitazion di *** proprio dietro l’angolo. Il ragazzino non conosceva personalmente la donna ed era restio ad ammettere di aver ricevuto del denaro da lei (sebbene il fatto che fosse in possesso di un bel gruzzolo fosse evidente); inoltre, il suo viso terrorizzato garantiva per la veridicità della storia. Se la polizia avesse avuto la necessità di interrogarlo, lo avrebbe trovato alla bottega di Carter, da cui non sarebbe stato rilasciato a meno di un ordine preciso degli agenti.
Un delitto insolito! Quell’aggettivo continuava a fluttuare per la mente di Gryce il quale, perso dietro a tutti i significati che potessero celarsi dietro quella parola, dimenticò il peso dei propri anni. Nel frattempo, gli agenti riuniti intorno a lui avevano cominciato a discutere circa l’abitazione in cui il crimine era stato consumato. L’edificio era uno dei pochi rimasti ancora in piedi dal secolo scorso e la sua popolarità era aumentata anche grazie a tutti i negozi, i locali notturni e i ristoranti che vi si erano ammassati intorno: persino chi non si intendesse di storia o di architettura conosceva molto bene il luogo.
E adesso era diventato teatro di un delitto! A Gryce, nelle cui orecchie continuava a rimbombare il termine insolito, bastò uno scambio di sguardi con l’ispettore capo per essere affidato al caso. Balzò in piedi e come prima cosa si diresse alla bottega.
Vi trovò il ragazzino e lo portò con sé alla volta della casa di cui si faceva parola nella telefonata. Lungo il tragitto Gryce cercò di spillargli nuovi dettagli, ma il poverino non seppe aggiungere
altro che non fosse stato già detto al telefono. Continuava a dire che una signora (e mai una donna) gli si era avvicinata mentre era intento a osservare la vetrina di un negozio di giocattoli e, dopo avergli consegnato una moneta, lo aveva condotto con sé fino alla bottega di Carter. Lì gli aveva mostrato un’altra moneta, promettendogli di aggiungerla a quella già in suo possesso soltanto se fosse entrato in negozio dicendo di avere un messaggio per la polizia. Il ragazzo aveva bisogno di quei soldi e, dopo averli accettati, gli era stato detto di non dover fare altro che raggiungere la bottega e dire che nella casa lungo via — era stato commesso un delitto insolito. Tutta questa storia gli aveva messo addosso una bella fifa ed era proprio sul punto di desistere, quando la signora lo aveva afferrato e gli aveva dato una bella scossa per farlo tornare a ragionare; allora era corso alla
bottega riferendo il messaggio ormai noto a tutti.
Le parole del ragazzo erano intrise di candore e non vi era motivo apparente per cui Gryce avrebbe dovuto dubitarne; tuttavia, quando al ragazzino fu chiesto di descrivere la signora, la sua capacità di osservazione non si dimostrò superiore a quella di solito imputata ai suoi pari. Riuscì a dire soltanto che la signora era un vero schianto, avvolta in abiti sgargianti e ricoperta di gioielli; resosi conto dei limiti evidenti del giovane testimone proprio nel momento in cui si trovò dinanzi alla casa in cui era stato consumato il delitto, Gryce concentrò tutta la sua attenzione sull’edificio in cui sarebbe entrato di lì a poco. La facciata non presagiva alcun misfatto, neppure un incidente di poco conto. La porta era chiusa, la terrazza in ordine e le finestre oscurate da tende molto spesse (alcune addirittura volutamente dipinte di colori scuri): tutto aveva un’aura di pace domestica e rispettabilità; la facciata di mattoni marroni faceva da contrappeso all’aspetto più moderno degli edifici che vi si stringevano intorno, brulicanti di persone e incorniciati da insegne vivaci.
«Un errore» mugugnò Gryce tra sé, fortemente colpito dalla calma che pareva regnare all’interno.
Tuttavia, prima che potesse convincersi di essere stato vittima di uno scherzo di cattivo gusto, qualcosa al di sotto della terrazza si mosse e sbucò fuori un agente di polizia.
Il volto dell’uomo era perplesso abbastanza da convincere Gryce a tornare sui suoi passi e a chiedergli, con una certa ansia: «C’è qualcosa che non va? Ha visto tracce di sangue? Da qui pare tutto tranquillo».
L’agente, riconoscendo il vecchio investigatore, si toccò il cappello in cenno di saluto.
«Non riesco a entrare» disse «ho bussato al campanello, ma niente. Le direi che in casa non c’è nessuno, se non avessi visto qualcosa muoversi al di là di una delle finestre lassù. Crede che sia il caso che provi a introdurmi nel cortile dell’abitazione passando da una delle finestre del negozio di
Knapp&Co. qui accanto?»
«Direi di sì. Porti il ragazzo con sé, lo chiuda in una delle stanze di Knapp e poi trovi un modo di introdursi nel cortile della casa».
L’agente annuì, quindi prese il ragazzo per un braccio e in un batter d’occhio sparì all’interno del negozio adiacente.
Gryce restò lì dov’era, accerchiato da una moltitudine di passanti desiderosi di ficcare il naso nello scandalo appena fiutato. Non appena la porta d’ingresso fu aperta dall’interno egli sgusciò in casa, troncando di netto tutte le domande postegli dalla folla, alle quali ancora non sapeva dare una risposta. L’abitazione era immersa in un silenzio quasi totale; l’ingresso conduceva a una cucina che, persino in un momento così concitato, spiccava per la pulizia con cui era tenuta, molto insolita
se rapportata a una casa così grande, dove i lavori domestici non dovevano certo mancare. Nulla lasciava presagire neppure la minima breccia nella routine quotidiana di una casa di tali dimensioni e di tale fama, figurarsi una tragedia.
Dopo essersi accertato che al piano di sotto non vi fosse nulla di rilevante, Gryce seguì l’agente di sopra. Mentre i due si facevano strada verso il salotto, l’agente comunicò all’investigatore le seguenti informazioni: «Il signor Raffner, l’avvocato che vive qui accanto, dice che qui abita un uomo molto strano di cui nessuno sa niente; un topo da biblioteca, credo sia questo il termine esatto. Nonostante viva qui da ormai sei mesi, pare che nessuno sia mai venuto a fargli visita: i vicini parlano soltanto di costui e di un vecchio maggiordomo bizzarro e schivo almeno quanto il suo padrone».
«Lo so» mugugnò Gryce. E in effetti lo sapeva davvero, visto che era di dominio pubblico il fatto che la casa, un tempo dimora di una delle famiglie più nobili di New York, era stata occupata da un certo Adams, un uomo, a detta di tutti, benestante, dagli interessi poco ortodossi e da un carattere intrattabile: tutte peculiarità che rendevano ardua ogni forma di contatto tra lui e i suoi simili. Era stata proprio la fama di cui godeva costui a rendere il caso oltremodo interessante. Essere ammessi in casa di un simile soggetto era di per sé un grande evento, ma entrarvi addirittura per una questione di vita o di morte be’, erano proprio queste circostanze a pompare con nuovo vigore il sangue nelle vene di un vecchio, a maggior ragione quando si trattasse di vene connesse al cuore e al cervello di un investigatore, a dispetto degli anni, così sagace.
I due si ritrovarono in un’anticamera ampia, arredata in modo molto spartano nello stile tipico di edifici così antichi.
Sull’anticamera affacciavano due porte, entrambe aperte. Dopo aver preso nota di tale disposizione, i due varcarono quella più vicina alla sommità delle scale che avevano appena salito e si ritrovarono in una stanza scialba quanto la sala d’attesa di un ambulatorio. Non vi era nulla degno di attenzione e i due se ne sarebbero andati senza troppi ripensamenti se non avessero intravisto, al di là di una tenda posta all’altro capo della stanza, segnali inequivocabili di quella che si prospettava come una sala interna di grande classe.
Attraversarono la soglia marcata dalla tenda, si guardarono intorno e restarono sconvolti da ciò che si presentò ai loro occhi. La piccola stanza, di forma circolare, adorna di arazzi rifiniti nei minimi particolari, era illuminata, sebbene fosse ancora giorno, da un faretto rosso e si stringeva attorno non tanto alle file di libri ammassati alle pareti, né a un maestoso ritratto che un tempo avrebbe attirato l’attenzione di tutti i visitatori, quanto al viso di un uomo che giaceva supino su di un tappeto in pelle d’orso con un pugnale conficcato nel cuore.
Adagiata sul petto, una croce dalle finiture dorate faceva da contrasto all’abito lungo e scuro della vittima. Pareva un santo pronto per la sepoltura in un qualche luogo sacro, se solo quel pugnale non avesse raccontato la storia di una morte violenta e l’espressione sul suo volto non avesse indicato un’angoscia che Gryce, nonostante i molti anni di esperienza, non riuscì a identificare, proprio perché non aveva niente della paura, del dolore, della sorpresa o di qualsiasi altra emozione che resta dipinta sul viso di chi è stato vittima di un assassinio improvviso…
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