Fernando Conte, Mery

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Un brano dirompente che rompe ogni schema del bon-ton e del politically correct, creato con l’unico scopo di puntare i riflettori su dinamiche alle volte grottesche. “Mery”, questo è il titolo del singolo, si potrebbe definire impegnativo, sia per testo, che per musica. Sulle note di un genere  elettro- swing , musicalmente frutto  di studio e ricerca, si apre un testo singolare, che va letto in chiave assolutamente ironica e metaforica. Un arrangiamento iniziale, in bianco e nero, che richiama un momento di balli  festosi,  rotto dall’incalzare delle forti tinte del testo, ricco di parole apparentemente al vetriolo: una donna ben vestita e dal bell’aspetto ha sicuramente più possibilità di essere ascoltata rispetto a chi appare più sciatto e trasandato. Un certo appello al motto “l’abito non fa il monaco”, come partenza ilare e leggera,  per parlare di un tema sentito e sofferto, oggi come ieri: la meritocrazia . «La Mery dov’è?» recita il ritornello, indicando con il nome “Mery” quel sistema meritocratico che non sempre premia   giovani e meno giovani.

Studi e competenze non sono sempre sufficienti per raggiungere le meritate soddisfazioni. Capita che curriculum privi di competenze scavalchino  i meritevoli, sol perché dotati di un biglietto da visita  “ben referenziato”. Il brano urla la rabbia di chi vuole lavorare al meglio, senza scendere a compromessi. Inoltre, il testo di “Mery” cerca di dare voce, strappando un mortificato sorriso, a tutti i giovani costretti a lasciare il proprio Paese. Un brano complesso, che ha necessitato di nove mesi di tempo per essere prodotto. Una voce fuori dal coro, che vuole essere l’eco del coro stesso: non bisogna mollare mai!

Un grido di rivoluzione che  ha portato via il sonno alle notti, disturbate dal gelo delle ingiustizie che la vita  riserva. Perché la creatività è così: può partire da un malessere, da un ricordo improvviso. Così è stato per “Mery”. Un pensiero su ingiustizie subite in passato ha fatto riemergere il ricordo tetro del momento vissuto: un podio perso per mancanza di senso di meritocrazia. C’era chi doveva occuparlo quel podio!

La rabbia, lo sdegno e la voglia di rivalsa hanno trasformato la chitarra nell’estensione del  pensiero. Ed ecco, è nata “Mery” «che se n’è andata e forse ritornerà». Il testo è forte, ma vuole essere solo ed esclusivamente una metafora della vita, ogni riferimento a situazioni e cose, così come si dice, è puramente casuale e creato per scandalizzare a tal punto da far riflettere. Il brano  ha un nome di donna, Mery, scelta non casuale. Le donne hanno una maggiore imparzialità di giudizio e sono difficilmente abbindolabili. Socialmente «super partes» a dirla breve, maggiormente capaci di andare oltre a qualunque tipo di compromesso, al contrario dei colleghi uomini, alle volte più facilmente condizionabili.

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